Scozia, l’indipendenza ora sembra possibile.

indipendenza scoziaIn Scozia gli indipendentisti sfondano nei sondaggi e conquistano la maggioranza per la prima volta. È bastato questo vantaggio pre-elettorale a mettere in subbuglio i mercati e spaventare i banchieri della City londinese. Dopo la diffusione delle nuove rilevazioni, la sterlina è crollata in tutti i principali cross, il cambio con il dollaro statunitense ha toccato i minimi da novembre 2013.

Lunga la lista delle compagnie che hanno risentito della previsione dei sondaggisti: Royal Bank of Scotland ha perso il 3%, il gruppo energetico Scottish&Southern Electricity il 2,5%, l’istituto di credito Lloyds il 2,2%.
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Il voto che deciderà se spezzare l’unione tra Scozia e Inghilterra sancita nel 1707 è previsto il 18 settembre. Il fronte separatista ha colmato un divario di una decina di punti percentuali e ora spera davvero di mettere le mani sull’autonomia.

Le principali sfide sono tutte economiche. La rivista americana Forbes ha indicato cinque ostacoli che limiterebbero la capacità operativa di una Scozia autonoma dall’Unione:

1) Confusione monetaria: in origine, il leader dello Scottish National Party, Alex Salmond, voleva liberarsi della sterlina, moneta troppo forte che limitava le esportazioni scozzesi. Oggi giura che l’unità valutaria conviene a tutti. Il rischio è di ritorvarsi in un limbo, fuori dal circuito del pound e in attesa di entrare nell’euro.

2) Il futuro economico della nuova Scozia è largamente affidato ai giacimenti petroliferi nel mare del Nord. Che sono però in gran parte vincolati da accordi già firmati e, temono alcuni, in via di esaurimento.

3) Gestione finanziaria: a fine anni ’90 due banche scozzesi (Lloyds e Royal Bank of Scotland) furono salvate dalla Banca d’Inghilterra. Salmond vorrebbe continuare a fare affidamento sulla Banca centrale britannica, dimostrando, sempre secondo Forbes, una mancata pianificazione finanziaria.

4) Perdita di credibilità nella politica estera.

5) Mancanza di risorse naturali (escluso, ovviamente, il petrolio a cui abbiamo fatto riferimento in apertura).

L’unione è sempre stata turbolenta, complicata dalle differenze religiose tra la cattolica Scozia e la protestante Inghilterra. Nel corso dei secoli, l’orgoglio scozzese è stato arginato con una serie di concessioni volte a placare la sete di autonomia. La prima vera devolution è stata accordata già nel 1885, quando fu istituito un Ministero specifico per gli affari scozzesi.

Lo Scottish House Rule, approvato con 204 voti favorevoli contro 159 contrari, risale invece al 1913. Due referendum, nel 1979 e nel 1997, hanno poi posto le basi per lo Scotland Act varato nel 1998 che ha definito l’attuale assetto.

La Scozia ha un suo Parlamentino autonomo che legifera su una serie di materie sottratte all’autorità di Westminster. Il 12 maggio 1999, la prima sessione dell’assemblea fu aperta dal membro dello Scottish National Party Winnie Ewing con le seguenti parole: “Il Parlamento Scozzese, aggiornato in data 25 marzo dell’anno 1707, è qui riconvocato”.

l processo di trasferimento dei poteri è proseguito con ulteriori passaggi di mano nel 2004, 2005, 2007, 2008 e 2009. Preso sotto gamba dall’opinione pubblica, ora il referendum fa paura non solo agli inglesi, ma all’intera zona euro. L’ instabilità di questi giorni è appena un assaggio, dicono gli analisti.

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