Pensioni d’oro: che cosa sono? A quanto possono ammontare? Su cosa si dibatte?

Nella politica dell’economia e del lavoro di oggi, alcuni temi assumono un’importanza centrale. Uno dei principali è quello delle pensioni d’oro: si tratta di particolari trattamenti pensionistici che superano una data soglia mensile. È una questione molto dibattuta, poiché tanti le ritengono eccessive soprattutto se messe in relazione ai contributi versati dai soggetti che la ricevono e, in modo particolare, alla media di contributi ricevuti dai pensionati in Italia.

Cosa sono le pensioni d’oro

Si definire una “pensione d’oro” un trattamento pensionistico con importo alto, cioè di almeno €2500 o €3000. Queste cifre si riferiscono all’importo minimo che viene considerato pensione d’oro; di conseguenza, esistono cifre che raggiungono  e superano i €5000 netti al mese.

Secondo i dati dell’osservatorio sui flussi di pensionamento dell’Inps, in Italia sono circa venti mila gli assegni pensionistici che superano la soglia dei €2500 al mese. Questi, inoltre, sono in continuo aumento: nel 2017 erano sedici mila. Questo tipo di pensione, nel corso degli anni, non ha mai subito alcun tipo di modifica dalle varie riforme previdenziali e, molto spesso, va a Dipendenti del Parlamento italiano, ex parlamentari, ex giudici della Consulta, ex Consiglieri Regionali, dipendenti della Regione Sicilia e dipendenti della Corte Costituzionale.

Le polemiche sulle pensioni d’oro

In Italia esiste una grande questione riguardo alle pensioni d’oro. Ciò che fa storcere il naso è l’elemento contributivo: in molte situazioni, infatti, i pensionati che le ricevono non hanno effettivamente versato ciò di cui oggi beneficiano, che supera spesso i cinque mila euro netti.

Questa questione apre un grande punto di domanda in merito alle pensioni d’oro poiché, sebbene i riceventi non abbiano effettivamente versato ciò di cui oggi godono, si tratta di diritti che formalmente detengono. Di tanto in tanto, infatti, ogni governo affronta il tema dei tagli alle pensioni d’oro, proponendo riduzioni e riforme spesso non sostenute dalla classe politica, che è la principale ricevitrice di questi contributi.

I problemi delle pensioni d’oro

Attorno al tema delle pensioni d’oro, oltre le numerose polemiche, circolano anche due categorie di problemi. Il primo è legato alla questione dei diritti acquisiti: secondo questo principio, nessuno può negare a un cittadino di usufruire di un diritto acquisito, soprattutto se sostenuto dalle normative vigenti nel periodo in cui ha lavorato. Questo riguarda, infatti, tutti i cittadini che hanno maturato la pensione con il sistema contributivo del passato, oggi sostituito dalla Riforma Fornero: non sarebbe corretto ricalcolarla e, quindi, diminuirla con l’attuale sistema.

Il secondo tipo di problemi riguarda il contributo di solidarietà. Questo, introdotto nel 2011 dal Governo Berlusconi, si concretizzava in un prelievo sulle pensioni d’oro che superavano i novanta mila euro all’anno, fino al dicembre 2014. Chi riceve una pensione di questo tipo, quindi, fino a sette anni fa doveva obbligatoriamente versare una quota percentuale di ciò che aveva percepito a favore di fasce meno abbienti, compresi anche i pensionati che ricevevano la minima.

Questa norma venne resa incostituzionale nel 2013 poiché vista come discriminatoria ma, l’anno successivo, fu reintrodotta dal Governo Letta con alcune modifiche, nonostante il rinnovato parere contrario della Corte Costituzionale. A partire dal gennaio 2022, però, il contributo di solidarietà è stato nuovamente sospeso.